Trentotto anni, due figlie, origini napoletane ed uno spiccato senso artistico che, circa vent’anni fa, lo ha strappato ad una promettente carriera forense, all’inseguimento di una passione, quella per il suo lavoro, che oggi ama terribilmente ed incodizionatamente. Già acclamatissimo da pubblico e critica come attore del piccolo e grande schermo, troviamo ora Alessandro Preziosi impegnato in una tournee teatrale come regista ed interprete di Cyrano De Bergerac, la celeberrima commedia di Edmond Rostand, meraviglioso mix di romanticismo, ironia ed esilarante comicità.
Di Alessia Addari
Figlio di avvocati. Laureato con 110 e lode in giurisprudenza, frequenti poi l’Accademia dei Filodrammatici a Milano. Quale il motivo di questa inconsueta “inversione di marcia” nella tua vita?
Non è affatto facile ricostruire i motivi di certe scelte, soprattutto quando queste avvengono sulla base di certe frustrazioni o aspirazioni trattenute. Il mio caso è un po’ una combinazione delle due: la voglia di tenermi libero ed allo stesso tempo non sapere come gestire questa libertà, intesa soprattutto come possibilità di agire indipendentemente da una struttura che ti sovrasta, sia familiare che lavorativa. Quando ho scelto avevo ventiquattro anni, laureato in legge e già praticante da un anno in uno studio di avvocatura civile. In questa occasione ho avuto la grande fortuna di trovare una passione, un terreno fertile per il mio entusiasmo per la vita e la mia visione delle cose, così aerea, astratta e velleitaria. Ed è proprio su questa velleitarietà, poi diventata una professione, che ho trovato la mia dimensione, attraverso una disciplina nel creare un vero e proprio lavoro, sia attraverso il teatro che il cinema e la televisione.
Recentissima la tua nomina a Direttore Artistico del Teatro Stabile d’Abruzzo. Un grande impegno, soprattutto in una realtà, come quella della nostra Regione, afflitta ultimamente da una profonda crisi culturale e bisognosa di nuovo slancio e spessore artistico. Sono già al vaglio progetti ed iniziative in tal senso? Assolutamente si. Il primo e fondamentale progetto riguarda una vera e propria riprogrammazione della stagione teatrale, che vivrà attraverso una circuitazione non più legata al solo Teatro Comunale de L’Aquila, ma anche agli altri Teatri di Chieti, Pescara e Teramo, con un coinvolgimento, dunque, dell’intera Regione. La nuova distribuzione sarà relativa sia a spettacoli di debutto nazionale prodotti dal Teatro stabile de L’Aquila, sia a spettacoli ospitati da questo stesso. Proprio a proposito di produzioni, mia intenzione sarebbe quella di mettere in scena testi di autori ancora in vita, drammaturgie moderne e soprattutto italiane, coinvolgendo brillanti protagonisti del nostro cinema quali Favino, Germano, Battiston, attori con una spinta teatrale impareggiabile ed inoltre molto stimati ed apprezzati dal grande pubblico giovanile.
Sempre a proposito della grande passione per il teatro, di enorme successo il tuo debutto lo scorso gennaio in duplice veste di interprete e regista in una nuova produzione di Cyrano De Bergerac. Che significato attribuisci all’opera di Rostand e come potrebbe inserirsi in un contesto sociale come quello che stiamo vivendo?
La scelta di mettere in scena il Cyrano nasce dalla possibilità di creare, attraverso questo meraviglioso personaggio, una sorta di paravento per poter parlare di qualcuno che combatte contro i compromessi, i pregiudizi, l’avidità e la menzogna. Sono infatti sostenitore della grande attualità delle opere classiche, che a tutt’oggi continuano ad avere così tanta forza ed appiglio all’interno del nostro sociale, colpendo ancora molto animi e sensibilità. Questo, probabilmente, il motivo del grande successo di questi spettacoli, in grado di coinvolgere il pubblico, fino all’immedesimazione in realtà e situazioni sempre più vicine al proprio vissuto. Cyrano è un personaggio assolutamente diverso da quelli interpretati fin’ora: lui ha il coraggio di aprirsi al pubblico, di rendersi meraviglioso per sé e per la città, di mettersi in mostra nel bene e nel male. Ammette in maniera responsabile ed eroica la propria debolezza nel non riuscire a farsi amici, in questo spirito di fierezza ed orgoglio che lo attanaglia, non rendendolo adatto ed adeguato alla società nella quale vive. Un ritratto questo che in fondo corrisponde anche al disagio di alcune personalità del nostro tempo, manifestato soprattutto nell’affrontare i grandi sentimenti come l’amicizia, l’amore o anche la vita sociale e la politica. Tutto questo, dunque, è alla base della straordinarietà di quest’opera.
Un percorso professionale in ascesa il tuo, che ti annovera nella rosa degli attori più apprezzati del panorama artistico italiano. Se oggi, all’apice del tuo successo, dovessi stilare un bilancio della tua vita, cosa ne risulterebbe?
Sicuramente, dal punto di vista professionale, cercherei il più possibile di variare le mie esperienze, continuando ad accettare ogni tipo di sfida, come accaduto in passato con il canto, i musical o lavorare contemporaneamente in teatro ed al cinema, o al cinema ed in televisione. L’intenzione è quella di rendere ancor più considerevole la quantità del lavoro fin’ora svolto, le mie letture ed anche questa recente direzione del Teatro Stabile de L’Aquila. Dovendo stilare un bilancio del mio percorso professionale posso, dunque, affermare che tornando indietro rifarei tutto, lasciando forse un po’ più spazio per delle esperienze all’estero, magari in Europa, dove avere la possibilità di confrontarmi con altri mondi ed altri modi di lavorare, sempre utili per accrescere il proprio bagaglio di esperienze.
Una fama che ti definisce un attore piuttosto schivo e restio a parlar di te e della tua vita privata, mentre in realtà sembrerebbe tu sia un gran chiacchierone con uno spiccato senso dell’umorismo, a testimonianza del tuo sangue napoletano. Quale di queste due immagini ti rappresenta di più?
Naturalmente la seconda! Il problema è legato alla grande confusione ed allo stordimento del mezzo mediatico, considerato nel suo complesso televisivo, giornalistico e cartaceo. Forse l’unico che salverei è quello radiofonico, il solo, a mio parere, davvero capace di far capire al meglio la persona con cui hai a che fare, perché la senti parlare in presa diretta, perché può smentire, chiarire quello che dice o farsi capire per quello che realmente è. Oggi le deduzioni dei giornalisti o le etichette con le quali ti portano avanti sono un po’ riduttive. Io sono sempre stato un tipo molto molto aperto, ma ho smesso di esserlo quando mi sono accorto che alla fine, l’unica cosa che interessava era sapere cosa succedesse nella mia vita privata, che onestamente non ritengo altrettanto interessante quanto il mio percorso professionale.
Forte e duraturo è il tuo legame con l’Associazione pescarese Adricesta, (Associazione Donazione Ricerca Italiana Cellule Staminali Trapianto e Assistenza), di cui sei illustre testimonial ormai da molti anni. Un forte messaggio di amore, solidarietà e speranza con l’ intenzione di sensibilizzare quanto più possibile ad una situazione di dolore e sofferenza, quella dei piccoli malati di leucemia. Cosa ti ha spinto ad avvicinarti a questa realtà?
Ciò che mi ha avvicinato ad Adricesta è forse lo stesso criterio che mi ha spinto a fare l’attore…non c’è una scelta vera e propria. E’ stata una meravigliosa occasione che mi è stata offerta e che ho colto all’inizio con grande entusiasmo e partecipazione. Con gli anni e con la nascita delle mie due figlie, purtroppo, mi sono reso conto della difficoltà nel dedicare il tempo necessario a questo progetto, nonostante ciò l’organizzazione è riuscita a creare condizioni tali affinchè fossi sempre presente in occasioni o eventi importanti. Per il resto, l’amore e la disponibilità che infondo è il minimo che io possa dare e forse anche poco rispetto a quello che in una vita più equilibrata sarei riuscito a fare per questi bambini.
“Un buco nel muro” è il nome del progetto che hai sposato, la cui intenzione è quella di alleviare il senso di isolamento dei piccoli pazienti ricoverati nei centri oncoematologici pediatrici. Quali sono i canali e le iniziative in grado di poter combattere la solitudine di questi bambini?
Devo dire con estremo piacere che, durante questi anni, tutti gli obiettivi che Adricesta ed io ci eravamo proposti in merito a questo progetto, sono andati a buon fine. Siamo infatti riusciti nell’intento di creare postazioni multimediali all’interno delle stanze sterili dei bimbi malati di leucemia, nonostante queste apparecchiature fossero assai difficili da installare in questi luoghi, a cui si aggiunge anche quello di aver realizzato, sempre attraverso una iniziativa dell’Associazione, i sogni di questi piccoli degenti. Per ciò che riguarda la raccolta fondi, questa avviene in maniera molto ordinata, attraverso cene di beneficienza o la vendita durante le ottanta date della mia tournèe, di alcuni miei gadget in appositi desk, dove peraltro è possibile per gli spettatori avere informazioni dettagliate sia sull’Associazione che sulle sue attività. Del resto, il mio motto con Adricesta è sempre stato “miglioriamoci”, anche se ammetto che farlo è davvero molto faticoso, forse addirittura vano come proposito, ma sarebbe ancor più mortale non provarci.
Questo tuo impegno sociale, l’interesse e l’aiuto nei confronti dei piccoli, ha sicuramente creato un valore aggiunto sia alla tua carriera che ai tuoi rapporti personali. Cos’è cambiato nell’approccio con gli altri e nel tuo modo di vedere la vita?
Emotivamente l’incontro con questa realtà mi ha permesso di ridimensionare molto i problemi del quotidiano che ho dovuto affrontare, per fortuna molto meno gravi rispetto a quelli con cui ho avuto a che fare visitando i bambini negli ospedali o ascoltando le storie raccontate dai genitori di questi piccoli. Umanamente, invece, rispetto alla sofferenza altrui, credo ci sia un preciso percorso e solo negli anni, alla fine di un periodo della tua vita, si possano tirare le somme. E’ infatti molto difficile superare il contraccolpo emotivo, razionalizzare e capire bene il senso della vita o il modo in cui poter aiutare gli altri. Ci vuole un’età per metabolizzare il dolore in maniera concreta, ed io credo di stare ancora percorrendo una strada, sempre molto distratto dalle cose che faccio e, soprattutto, dal mio lavoro che ritengo sia emotivamente molto delicato, tanto da non permettermi mai di avvitarmi in maniera definitiva rispetto ad un punto, facendomi sentire sempre incostante e contraddittorio. Devo dire che, a questo proposito, il confronto con Adricesta è stato ed è molto importante. Infatti tutte le volte in cui sono con loro, e purtroppo ultimamente un po’ meno di frequente, mi accorgo davvero di quanto mi dia gioia questo contatto. Poi vedo tanti bambini che sono guariti, grazie anche al sostegno morale, ed allora lì sono davvero felice.