Di Raffaella Quieti
Bernardino Ghetti, Professore dei Dipartimenti di Patologia, Psichiatria, Genetica Medica e Molecolare e di Neurologia, e Direttore del Centro Alzheimer presso l’Università dell’Indiana negli USA, espone il progresso della sua ricerca sulla decodificazione genetica delle demenze che, nel mondo, affliggono una nuova persona ogni sette secondi, ovvero un totale di 24,3 milioni di vittime o 4,6 milioni di nuovi casi l’anno.
Professor Ghetti, in che modo la sua ricerca ha contribuito alla comprensione delle cause e dei meccanismi dei processi degenerativi?
Gli ultimi 30 anni sono stati fondamentali per capire più a fondo il decorso delle malattie neurodegenerative ed in particolare del morbo di Alzheimer. Gli scienziati oggi conoscono meglio i meccanismi biochimici legati alla morte delle cellule nervose e sono in grado di formulare diagnosi precoci di varie forme di demenza senile e presenile. Io ho studiato le demenze neurodegenerative dal 1968. Dal 1970 al 1976 ho studiato Neuropatologia all’Albert Einstein College of Medicine di New York. Nel 1976 mi fu offerta una posizione presso l’Università dell’Indiana negli USA, dove fino allora c’era stato un interesse sulle malattie neurologiche metaboliche dell’infanzia. Dal ‘76 ci siamo occupati dello studio di demenze ereditarie. Abbiamo cominciato analizzando l’albero genealogico di famiglie nelle quali la demenza era stata documentata da varie generazioni in molti individui. L’identificazione di marcatori biologici specifici in molti membri ammalati di una singola famiglia, consente di identificare il cromosoma in cui il gene patologico risiede. Una volta identificato il cromosoma, è possibile definire la posizione del locus genetico e di sequenziare il DNA per individuare la mutazione genetica associata alla malattia ereditaria che è oggetto di studio. La sequenza di tutto il genoma oggi apre la strada a grandi possibilità di studio di meccanismi genetici e molecolari ancora sconosciuti.. La ricerca del nostro laboratorio si é sviluppata in particolare verso lo studio di tre forme di demenza: la malattia di Alzheimer, la malattia di Gerstmann-Sträussler-Scheinker, e la demenza frontotemporale.
1) Lo studio clinico e neuropatologico della malattia di Alzheimer, osservata in famiglie da noi seguite per diversi anni, ci ha permesso di essere pronti per le analisi genetiche, quando le tecniche sono state disponibili per cercare mutazioni del DNA in geni “sospetti”. Così, nel 1991, abbiamo individuato una mutazione genetica nel gene APP che codifica la Proteina Precursore dell’Amiloide. La prima mutazione, causa di malattia di Alzheimer familiare, era stata scoperta nel Regno Unito nel 1991. Noi scoprimmo la seconda. (Science 1991, ‘A mutation in the Amyloid precursor protein associated with hereditary Alzheimer’s disease’).
2) Dal 1977 abbiamo inoltre effettuato studi su un morbo raro: la malattia di Gerstmann-Sträussler-Scheinker. Nella prima famiglia esaminata da noi, abbiamo eseguito, fino ad oggi, 27 autopsie su individui affetti in tre generazioni successive. Nel 1992 abbiamo individuato mutazioni del gene della Proteina del Prione (PrP) e pubblicato, nel 1992, su Nature Genetics, due lavori intitolati: “Linkage of the Indiana kindred of Gerstmann- Sträussler-Scheinker disease to the prion protein gene” e “Mutant prion proteins in Gerstmann-Sträussler-Scheinker disease with neurofibrillary tangles”.
3) Dal 1992, ci occupiamo anche di demenza frontotemporale ereditaria. Dopo anni di intensi studi nel 1997 abbiamo pubblicato sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Science USA” un lavoro intitolato “Familial multiple system tauopathy with presenile dementia: a disease with abundant neuronal and glial Tau filaments”.
Questa importante ricerca ha stabilito le caratteristiche biochimiche di una forma ereditaria di demenza frontotemporale, che fino ad allora era stata considerate una forma di malattia di Pick. Nel 1998 siamo stati uno dei primi tre gruppi al mondo ad identificare una mutazione del gene Tau, come causa della demenza frontotemporale .
Questo lavoro intitolato “Mutation in the Tau gene in familial multiple system tauopathy with presenile dementia” è stato pubblicato nella rivista PNAS. Quante forme di demenza ereditaria ha studiato?
Abbiamo analizzato forme di demenze presenili associate a mutazioni nei geni della Presenilina 1, Presenilina 2, Neuroserpina, Ferritina, Progranulina e recentemente abbiamo studiato forme di demenza associate ai geni CSF1R, VCP, TARDP, and C9ORF72. Il nostro laboratorio é stato e continua ad essere all’avanguardia nella neuropatologia e genetica, con la scoperta di nuovi fenotipi clinici e patologici, e con la dimostrazione dell’ associazione di fenotipi a mutazioni genetiche specifiche.
Questi studi sono importanti e hanno permesso una caratterizzazione più completa delle basi molecolari del processo neurodegenerativo. In che modo la scienza ha beneficiato delle vostre scoperte?
Le mutazione genetiche delle condizioni menzionate, trasferite su animali transgenici, permettono di studiare ulteriormente i meccanismi di patologia cellulare e di patogenesi della malattia. Il mio interesse principale è nella patologia umana ma i modelli animali hanno permesso, al nostro team e ad altri gruppi, di analizzare più a fondo queste malattie. Lo studio di topi transgenici non è però sufficiente di per se. Un attacco frontale alla grave problematica richiede gruppi multidisciplinari composti da una varietà di ricercatori specializzati, che operino nella stessa struttura usando metodi clinici e di ricerca di base. Il centro che dirigo è finanziato da fondi di ricerca sotto forma di un grant del Governo Federale Americano e ottenuto competitivamente ogni cinque anni. Questo grant, finanziato per la prima volta nel 1991 e rinnovato fino al 2016, ci consente di sostenere il lavoro del nostro team composto da clinici, neuroradiologi, neuropatologi, genetisti e biologi molecolari. Donazioni filantropiche aiutano a sviluppare nuove linee di ricerca clinica o sperimentale. Professor Ghetti può descriverci il processo di degenerazione cellulare nella demenza di Alzheimer?
L’inizio della malattia si verifica con accumulo di placche di proteina amiloide a livello cerebrale. Queste placche sono note con il nome di “placche senili”. Successivamente, la proteina Tau è alterata da un processo di fosforilazione e forma le cosiddette “degenerazioni neurofibrillari”. La proteina Tau ha un’importanza fondamentale per il trasporto intracellulare di molecole. Sia la proteina APP che la Tau sono presenti in condizioni normali ma, a causa di mutazioni genetiche o di eventi ancora sconosciuti vengono prodotte in quantità molto elevate e assumono una conformazione abnorme. L’accumulo delle proteine alterate conduce progressivamente e inesorabilmente a deficit neurologici gravi. Accumulandosi nel cervello, ne danneggiano le cellule. I neuroni diminuiscono gradatamente la possibilità di contattare altri neuroni e avviene una perdita di giunzioni sinaptiche. Dall’inizio dell’accumulo delle placche ai primi sintomi passano vari anni. Le modificazioni di queste proteine nel liquido cerebrospinale può iniziare anche 20 anni prima delle alterazioni cognitive iniziali. I sintomi cognitivi si riscontrano nel 10% di individui che hanno raggiunto sessantacinque anni di età, e nel 45% degli ottantacinquenni. Al momento, sono in fase di sperimentazione farmaci basati su anticorpi anti-amiloide che inibiscono quindi il formarsi delle placche. Si tratterebbe di una cura preventiva, da utilizzare quando ancora il paziente non presenta disturbi neurologici avanzati. Al momento attuale, non esiste una terapia farmacologica in grado di bloccare il progresso della malattia.
A fronte di un male incurabile gestito unicamente con medicinali di modesta efficacia, in quale modo potete aiutare le famiglie degli individui affetti dalla malattia di Alzheimer ?
Nel nostro centro eseguiamo diagnosi basate su vari esami e test di neuro imaging come MRI (Magnetic Resonance Imaging), PET (Positron Emission Tomography) con il composto PIB (Pittsburgh Compound-B) ed informiamo le famiglie sulle opzioni che hanno a disposizione. Quando ci troviamo di fronte ad una malattia ereditaria, cerchiamo di educare la famiglia sul significato del dato genetico. Nel caso di coppie in cui una mutazione genetica dominante viene identificata in uno dei coniugi, ciascuno dei figli ha la probabilità statistica del 50 % di essere portatore del gene patologico. Individui a rischio, cioè potenziali portatori del gene patologico, devono decidere se sottoporsi al test genetico. Una volta ottenuta l’informazione, possono, in linea con le proprie convinzioni morali e religiose, decidere se pianificare la procreazione, e se prendere in considerazione la procreazione tramite tecniche di fertilizzazione in vitro. La famiglia può inoltre cercare di educare gli altri membri sulle implicazioni e la gestione della malattia. Negli Stati Uniti l’Associazione Alzheimer è molto attiva nell’educare le famiglie sulle condizioni specifiche e sui vari stadi della malattia. In conclusione, il nostro centro fornisce diagnosi, educazione ed una terapia medica che allevi i sintomi della malattia. Spesso parlo personalmente con membri di famiglie affetti da questa terribile malattia, incoraggiandoli ad avere fiducia e ad aiutare la ricerca medica.
In quale area del suo lavoro trova le maggiori gratificazioni?
Nel nostro settore specifico, i momenti di gioia sono limitati in numero e durata. Il motore della nostra speranza è l’ottenimento di risultati che possano dare un futuro migliore alle vittime della demenza. Tutti i giorni facciamo piccole scoperte ma é difficile prevedere quando ci sarà un farmaco efficace. I nostri ritmi sono intensi ed affannosi. Immediatamente dopo il decesso del paziente bisogna compiere l’autopsia. Dati i tempi molto ristretti, lavoriamo senza orari. Le soddisfazioni nascono soprattutto dalle scoperte ma anche dalle conseguenti pubblicazioni e presentazioni ai congressi. L’ottenere nuovi fondi per continuare a fare ricerca rappresenta sempre un momento significativo, perché alimenta la speranza di future scoperte..In Italia l’atteggiamento nei confronti della demenza è pessimistico e a volte rinunciatario.
Lo stesso si verifica negli USA ?
Negli Stati Uniti la consapevolezza della malattia è superiore rispetto a quello che é avvenuto in Italia. Storicamente negli USA, si é parlato di Alzheimer con un grande coinvolgimento da parte del pubblico da più di trenta anni. Già dalla fine degli anni 70, partivo con la mia Fiat, nel mezzo dell’inverno dell’Indiana, per andare a parlare con le infermiere, le quali pensavano che le persone affette da demenza diventassero cattive. Ci sono voluti anni per capire che le lesioni cerebrali che si verificano, modificano le cellule con un conseguente grave impatto sulla personalità del malato. Oggi, in Italia, assistiamo ad una significativa presa di coscienza da parte del pubblico, ma le risorse per l’assistenza devono essere pianificate e costruite. Sia negli USA che in Italia c’è tutt’ora un grande bisogno di educare le giovani generazioni, a cominciare dalla scuola superiore per fare capire il significato di queste malattie. è necessario informare i giovani sulle conseguenze dei processi degenerativi. Non ci si può limitare a considerare queste malattie come indistinguibili dall’invecchiamento.
Riconoscimenti
• Medaglia d’Argento dall’Università
di Pisa, per il conseguimento della
laurea in Medicina e Chirurgia cum laude;
• Premio Javits come Ricercatore
in Neuroscienze, 1992-1999;
• Glenn W. Irwin Research
Scholar Award, 1995-1997;
• Moore Award, al settantunesimo,
settantaquattresimo e settantottesimo
incontro dell’Associazione dei
Neuropatologi Americani, 1995, 1998, 2002;
• Distinguished Professor,
Università dell’Indiana, 1997;
• Presidente, Associazione dei Neuropatologi
Americani, 1996-1997;
• Premio Potamkin per la ricerca
sul morbo di Pick e di Alzheimer, 1999,
Accademia Americana di Neurologia;
• Riconoscimento di Merito per il Contributo
alla Neuropatologia, Associazione dei
Neuropatologi Americani, 2003;
• Laurea Honoris Causa in Medicina,
Università di Siena, 2005;
• “Saul Korey” Lecture, Associazione dei
Neuropatologi Americani, 2005;
• Presidente, Società Internazionale
di Neuropatologia, 2006-2010;
• “Alfred Meyer Lecture” and Medal, Società
di Neuropatologia del Regno Unito, 2007;
• Chancellor’s Professor, Indiana University
Purdue University Indianapolis, 2007;
• Premio Henry M.Wisniewski per la ricerca
sula Malattia di Alzheimer, 2008;
• 7th Annual Alvord Lecture
in Neuropathology, 2009