Longevità: è scritta nei geni, o influenzata dal nostro stile di vita?
Mantenere il cervello in attività, essere sempre propositivi, non avere timori delle tempeste emotive
Oggi occorre essere consapevoli dell’importanza degli stili di vita sul patrimonio genetico. Dal 2000 in poi, dopo la mappatura del genoma umano, la scienza ha scoperto che nostri geni possono anche avere “scritto” che abbiamo un potenziale vitale fino a 120-130 anni, ma quegli stessi geni si possono “bloccare” o “attivare” in base a ciò che mangiamo, ciò che respiriamo, ciò che ci stressa positivamente o negativamente. Superare il concetto di standard e valorizzare la personalizzazione di ciò che si fa, cominciando a conoscere il proprio corpo. Di qui sempre nuove prove e il disegno di come vivere a lungo in buona salute. La sintesi in un manuale per aspiranti longevi che ho scritto insieme al professor Umberto Veronesi, oncologo di fama internazionale, già autore con me della giusta alimentazione per prevenire il cancro (“Verso la scelta vegetariana”) ma anche per prevenire gli acciacchi dell’età. Veronesi quest’anno compie 90 anni ed era quasi un obbligo far seguire al primo libro una sorta di seguito (“I segreti di lunga vita”) che raccoglie la sintesi di quanto la scienza ci ha consegnato negli ultimi 15 anni.
La vita di Umberto Veronesi ha in sé un’importante scintilla di lunga vita che è la trasgressione, ossia il suo anticonformismo di base, arricchita da una curiosità ancora vivace a 90 anni. Ecco uno dei suoi mantra: “Mantenere il cervello in attività, essere sempre propositivi, non avere timori delle tempeste emotive”.
Importante è anche la sua scelta vegetariana, fin dall’infanzia. Per sua ammissione, scelta etica più che per salute. Ma le acquisizioni scientifiche successive hanno anche confermato la ricaduta positiva sull’organismo di un’alimentazione vegetariana.
Altro cardine: preferire più l’apparenza che la sostanza, senza considerare che l’apparenza è espressione della sostanza. La conoscenza del proprio corpo è il primo tassello, il secondo è non accettare la logica del branco ma rispettare la propria individualità. Non bisogna arrivare a diete dementi, bensì praticare la riduzione giornaliera delle calorie assunte (almeno un terzo) perché già questo mantiene il metabolismo in uno stato di equilibrio e porta a una longevità in buona salute. È la base per un’anzianità giovane e la prima regola per aspiranti longevi.
Altro consiglio: l’attività fisica nella prima parte della vita, la ginnastica del cervello nella seconda. Ridurre di un terzo le calorie normalmente assunte o praticare il digiuno (un giorno alla settimana non importa quale) per attivare neuro-ormoni di longevità che solo la “fame” innesca. Il digiuno, inoltre, è un ottimo addestramento al controllo mentale del corpo. Il tutto confermato da lunghe sperimentazioni prima sui topi e poi sui primati. Le scimmie a dieta ipocalorica hanno mantenuto lo stato di gioventù nel tempo, mentre quelle a dieta normale hanno manifestato tutti gli acciacchi dell’età nei tempi canonici.
Ed ecco uno stralcio del libro “I segreti di lunga vita” (Giunti editore).
Una “data di scadenza” nel cervello
Una recente ricerca condotta sul modello animale dall’Albert Einstein College of Medicine e pubblicata su Nature, ha messo in evidenza un’altra funzione fondamentale esplicata dall’ipotalamo (uno dei centri nevralgici collocati nel cervello) che, oltre a regolare il sonno, lo stato di veglia e i centri della fame, della sazietà e della sete, governa anche le emozioni e il comportamento sessuale: qui si produce, infatti, una molecola che funziona come una sorta di interruttore per quella che si potrebbe definire “la data di scadenza” della vita.
I ricercatori, infatti, hanno individuato un complesso proteico, denominato NF-kB, che ha dimostrato di essere una delle cause dell’inizio dell’invecchiamento cellulare: di conseguenza, la sua inibizione può spostare in avanti il momento fatidico del declino. I topi utilizzati per questi esperimenti hanno evidenziato un allungamento medio della vita del 20%, con l’assenza di quelle patologie che normalmente accompagnano il decadimento fisico legato all’avanzare dell’età. Per arrivare a tale risultato, gli scienziati hanno prima verificato che la produzione della proteina NF-kB aumentasse con il passare del tempo, quindi sono stati eseguiti dei test su tre gruppi di topi. Al primo gruppo, la produzione della molecola è stata inibita, il secondo non ha subito alcuna modifica, nel terzo gruppo, invece, il cervello è stato “spinto” a produrne livelli maggiori. Così, se il primo gruppo ha vissuto mediamente 1.110 giorni, il secondo non ha superato i 1.000 e il terzo non è andato oltre i 900 giorni di vita. “Il nostro studio indica chiaramente che molti aspetti dell’invecchiamento sono controllati dall’ipotalamo”, è il parere di Donsheng Cai che ha coordinato i lavori. Secondo Cai, nello studio sui topi l’inibizione della proteina ha consentito di “rallentare l’invecchiamento e di aumentare la longevità, con una maggiore forza muscolare e migliori capacità d’apprendimento”. Anche se è ancora presto per dire di aver trovato un possibile elisir di lunga vita, di certo i risultati raggiunti grazie allo studio dell’ipotalamo rappresentano una via da seguire negli studi finalizzati al controllo delle patologie correlate alla vecchiaia.
Entrambe le ricerche, ma ve ne sono molte altre in corso nei laboratori mondiali, confermano l’ipotesi dell’esistenza di un autentico “centro di comando dell’invecchiamento” collocato nell’ipotalamo, in grado di modulare e dare inizio al declino fisico legato all’età. Se tale ipotesi venisse confermata da ulteriori studi, potrebbe essere interessante intervenire in questa area del cervello per ritardare così gli effetti dell’invecchiamento non solo nei topi, ma anche nell’essere umano.
Va inoltre ricordata l’importanza dell’alimentazione dal momento del concepimento in poi, che consente di crescere, durante la gestazione e dopo la nascita, e diventare un bambino, un adolescente, un giovane adulto, un “giovane anziano”. Con differenze biologiche tra donna e uomo dovute, essenzialmente, agli ormoni sessuali, ma che non variano sulle modalità di sviluppo di quel programma di lunga vita a bassa usura.