Oltre all’importanza di una buona alimentazione, dell’esercizio fisico, della riduzione dello stress e di un ambiente privo di tossine, il dott Holford sostiene che il nostro stato d’animo abbia un enorme impatto sulla nostra salute. Autore di numerosi articoli sul Covid19, il dott Patrick Holford è stato anche relatore in molteplici conferenze sulla sindrome del Long Covid.
Dottor Holford, quali sono le conseguenze della pandemia da Covid-19?
Oltre alla perdita di vite umane e all’enorme impatto sulla salute mentale, la pandemia di Covid 19 ha provocato in milioni di persone, quella patologia chiamata “Long Covid”.
I sintomi principali sono mancanza di respiro, grave affaticamento, nebbia cognitiva e patologie cardiovascolari e polmonari.
Una ricerca della rivista scientifica inglese The Lancet, elenca 200 sintomi tra cui allucinazioni visive, tremori, prurito della pelle, alterazioni del ciclo mestruale, disfunzione sessuale, perdita di memoria, diarrea e acufene (tinnito), oltre a depressione, ansia, disagio, malessere e scarsa qualità del sonno.
Proprio come la sindrome da stanchezza cronica, questo disturbo multisistemico non risponde a nessun farmaco in particolare. Tuttavia, la terapia nutrizionale, per molti aspetti può contribuire al miglioramento di alcuni di questi sintomi.
Quali sono gli integratori più importanti per combattere il Long Covid?
è fondamentale partire dai nutrienti che, se forniti in modo ottimale, accelerano il recupero e riducono le possibilità di sviluppare il Long Covid.
La vitamina C, svolge un ruolo fondamentale nel combattere le infezioni microbiche, nello sviluppo e rafforzamento del sistema immunitario nelle reazioni disintossicanti, e nella formazione di collagene in denti, ossa, pelle, capillari, tessuto connettivo e tessuto fibroso.
In dosi orali elevate o somministrata per via endovenosa, la vitamina C viene utilizzata da decenni per la riduzione dell’affaticamento.
Come dimostrato da diversi studi sulla sindrome da stanchezza post-virale, pazienti affetti da Long Covid hanno beneficiato dall’assunzione di cicli di vitamina C per via endovenosa o per via orale (fino al livello di “tolleranza intestinale”). Il dosaggio utilizzato varia da 6 a 10 grammi al giorno.
La vitamina C produce il collagene necessario per mantenere intatta la pelle, ma soprattutto l’endotelio, la membrana che separa il sangue nelle arterie e l’ossigeno all’interno dei polmoni. Un’infezione virale che dura a lungo, esaurisce le riserve di vitamina C. Poiché la vitamina C produce il collagene, o il ‘collante’ intercellulare, una carenza cronica di Vitamina C porta al distacco di questi tessuti, contribuendo alla mancanza di respiro e danno arterioso, tutti sintomi segnalati nella sindrome del Long Covid. La Vitamina C è uno dei più potenti antiossidanti, sostanze che proteggono le cellule del corpo dai danni causati dai radicali liberi. Gli antiossidanti svolgono la funzione di rafforzare la capacità del corpo di combattere le infezioni. Hanno effetti antinfiammatori, di ripristino dell’endotelio e di modulazione immunitaria. Ma i pregiudizi della professione medica nei confronti delle vitamine ne limitano un utilizzo che potrebbe contribuire al miglioramenteo ai simntomi del Long Covid.
La Vitamina D, altamente protettiva contro il Covid ed il Long Covid, svolge funzioni antivirali ed anti infiammatorie.
Aiuta a mantenere le ossa forti e sane trattenendo il calcio al loro interno. Segni di carenza sono dolore o rigidità articolare, mal di schiena, carie, crampi muscolari e caduta dei capelli. Livelli ematici fino a 100 nmol/l (3.000 UI al giorno o 21.000 UI a settimana) sono associati a un minor rischio di infezioni virali.
Lo Zinco ha funzioni antivirali, è cofattore di oltre 200 enzimi nel corpo, essenziale per la crescita, necessario per il funzionamento di diversi ormoni ed aiuta ad affrontare meglio lo stress.
Un’altra molecola che contribuisce a modulare l’infiammazione polmonare è la quercetina, il fitonutriente che si trova in grande quantità nelle cipolle rosse, nei capperi e nel radicchio.
Come la vitamina C, la quercetina agisce da inibitore specifico del Sars Covid 2 Tuttavia, sia la vitamina C che la quercetina svolgono un ulteriore ruolo importante non solo per il Long Covid, ma anche per la fase successiva alla vaccinazione, modulando le conseguenze legate all’eccessiva coagulazione sanguigna.
Sia l’infezione da Covid che i vaccini mRNA potrebbero indurre una eccessiva coagulazione sanguigna. Questo è il motivo per cui l’agente anti-coagulazione eparina viene, in alcuni casi, somministrato a pazienti affetti da Covid in stato critico. Alcuni medici raccomandano l’assunzione di un’aspirina a basse dosi nelle settimane successive alla vaccinazione.
L’ultimo contributo del premio Nobel Linus Pauling alla scienza è stato quello di dimostrare che, quando i livelli di vitamina C si riducono, si verifica un processo che porta all’ispessimento delle arterie (conseguenza della degenerazione endoteliale).
I coaguli del sangue sono composti in gran parte da proteine. Nei virus e nei vaccini, è rilevata una notevole presenza di proteine spike. La scomposizione di tali proteine è un obiettivo importante per aiutare coloro che soffrono da tempo delle conseguenze del Long Covid. Una teoria che sta guadagnando terreno propone che il virus provochi il rilascio di micro coaguli che bloccano l’accesso del sangue nelle cellule, con conseguente carenza di ossigeno. Un approccio medico in fase di sperimentazione è quello di eseguire una intervento ematico per rimuovere questi micro coagu
Mentre la vitamina C e la quercetina sono senza dubbio di grande aiuto, gli enzimi costituiscono rimedi molto interessanti. Tra gli enzimi più efficaci, ci sono la bromelina, che si trova nell’ananas e la papaina dalla papaia. La bromelina si lega alle proteine spike e aiuta a scomporle ed impedisce al virus di legarsi ai suoi recettori.
Lo studio “Evaluation of the Effect of Zinc, Quercetin, Bromelain and Vitamin C on COVID-19 Patients” – sponsorizzato dal Ministero della Salute saudita conclude che 800 mg di quercetina, 165 mg di bromelina, 50 mg di zinco acetato e 1 g di acido ascorbico somministrati una volta al giorno a pazienti affetti da SARS-CoV-2 potrebbero contribuire a combattere il virus.
Un altro fattore critico in molti pazienti affetti da Long Covid potrebbe essere una metilazione difettosa (processo che determina l’espressione di alcuni geni).
L’omocisteina è un aminoacido che si trova nel sangue. Livelli elevati di omocisteina sono stati associati al restringimento e all’ispessimento delle arterie, spesso determinato da uno scarso assorbimento di B12 o da una carenza di folati (contenuti in verdure e fagioli).
Molti dei sintomi segnalati dai pazienti affetti da Long Covid si verificano anche in pazienti affetti da carenza di Vitamina B12. L’aumento di omocisteina è direttamente correlato al grado di danno polmonare. Pertanto, verificare i livelli di omocisteina e di vitamina B12 sarebbe utile per i pazienti affetti da Long Covid.
Tuttavia, consiglio ai miei pazienti affetti da Long Covid di iniziare una terapia basata sull’assunzione di Vitamina C, vitamina D, zinco, quercetina e bromelina.
Se questa terapia non procura miglioramenti significativi entro una settimana consiglio di procedere ai test di laboratorio dell’omocisteina e della Vitamina B12.
Il miglioramento può essere rapido, come illustra il caso di una mia paziente. La sua capacità respiratoria dopo l’infezione da Covid19 era inferiore al 50%. (quando camminava, aveva necessità di fermarsi ogni 50 metri per riprendere fiato).
La terapia a base di integratori ha incluso quercetina, bromelina, vitamina C, zinco e vitamina D. Due giorni dopo l’inizio della terapia la paziente ha registrato una capacità respiratoria del 95%.
Tuttavia, se si verifica un danno polmonare considerevole, possono essere necessari uno/due mesi per rilevare miglioramenti considerevoli poiché il processo di guarigione del tessuto polmonare richiede più tempo.
La proteina spike
La proteina spike (in italiano “punta” o “chiodo”) ricopre di protuberanze la superficie esterna di SARS-CoV-2, caratteristica peculiare della famiglia alla quale questo virus appartiene, i coronavirus, che grazie alle protuberanze delle proteine spike sulla loro superficie, se osservati al microscopio elettronico, somigliano a delle corone.
La proteina spike di SARS-CoV-2 è il principale meccanismo che il virus utilizza per infettare le cellule bersaglio; questa proteina è formata da due componenti principali: la subunità S1 e la subunità S2. La subunità S1 della proteina spike di SARS-CoV-2 è una regione molto flessibile e contiene il meccanismo chiamato RBD (dall’inglese receptor-binding domain, “dominio che lega il recettore”), attraverso il quale il virus è in grado di riconoscere e legare il recettore ACE2, che è la porta di ingresso del virus nelle cellule del nostro organismo. La subunità S2 contiene una piccola regione chiamata FP, che è ”l’ago” attraverso il quale il virus riesce a penetrare nella cellula bersaglio; una volta che la subunità S1 della proteina spike ha legato il recettore ACE2 sulla cellula bersaglio, la subunità S2 cambia forma e “conficca” la regione FP nella membrana della cellula ospite, dando inizio al processo di invasione.
Per via della sua fondamentale importanza nel processo di infezione, la proteina spike di SARS-CoV-2 è uno dei bersagli farmacologici più studiati. Infatti, bloccarne il funzionamento vorrebbe dire impedire al virus di infettare le cellule bersaglio, rendendolo quindi innocuo.