di Alessia Addari
Dagli studi di efficacia ai primi risultati degli studi di fattibilità, si apre la strada al cambiamento. Prevenzione più efficace e risparmio di risorse sanitarie, questi i vantaggi dell’introduzione del test HPV al posto del Pap test.
Dopo l’introduzione della vaccinazione, un nuovo strumento di prevenzione, il test HPV, si avvia a cambiare lo scenario della lotta al tumore del collo dell’utero, che nel nostro Paese colpisce ogni anno circa 3.500 donne. La scoperta che l’infezione da HPV (Papillomavirus) fosse la causa principale di questo tumore ha aperto la strada a nuove strategie di prevenzione basate sulla vaccinazione e sull’utilizzo del test HPV come test primario nello screening, al posto del tradizionale Pap test. Numerosi studi di efficacia, che hanno utilizzato il test con tecnologia Hybrid Capture 2 (HC2), hanno dimostrato che il test HPV permette di individuare con maggior efficacia e anticipo le lesioni precancerose che potrebbero evolvere in cancro. Da qui l’avvio, a partire dal 2009, di progetti di fattibilità in varie realtà italiane, per valutare l’impatto dell’introduzione del test HPV nei programmi di screening. I progetti hanno già coinvolto oltre 100mila donne. I primi risultati sono promettenti e indicano che il nuovo modello organizzativo è ben attuabile e in grado di ottenere un miglioramento in termini di efficacia ed efficienza. Le Regioni attualmente coinvolte nei progetti in corso sono Toscana (Firenze), Abruzzo, Emilia Romagna (Reggio Emilia e Ferrara), Piemonte (Torino e Ivrea), Trentino Alto Adige (Trento), Lombardia (Valle Camonica), Umbria (Perugia), Lazio (Roma G), Veneto (Este Monselice) e, di recente avvio, Liguria (Savona). In queste realtà le donne coinvolte sono state chiamate a sottoporsi al test HPV al posto del tradizionale Pap test. Una nuova e promettente strategia, che ambisce a fornire alla donna una maggior protezione contro il cancro della cervice per intervalli più prolungati, come testimoniano il Dottor Massimo Confortini, Direttore del Laboratorio di Citologia Analitica e Biomolecolare e Citopatologia ISPO, Firenze e la Dottoressa Francesca Carozzi, Responsabile Settore Diagnostica Molecolare dello stesso Centro.
Dottor Confortini, Dottoressa Carozzi, avete recentemente curato la pubblicazione del volume “Prevenzione del carcinoma della cervice uterina. Dal test HPV al vaccino”, che fa il punto sulle nuove strategie della lotta al tumore del collo dell’utero. Quali sono le novità nella prevenzione e cosa sta cambiando?
Fino a oggi la prevenzione del tumore del collo dell’utero si è basata sulla lettura citologica dello striscio cervicale (Pap test). Questa pratica, in parte spontanea e in parte organizzata attraverso programmi di screening, ha ottenuto grandi successi: i tassi di incidenza del tumore del collo dell’utero si sono ridotti di almeno tre volte nel corso degli ultimi decenni. Oggi, secondo i dati AIRTUM l’incidenza di questo tumore in Italia è di circa sette nuovi casi di tumore invasivo ogni 100.000 donne all’anno; trent’anni fa l’incidenza era stimata sopra 20 su 100.000. In questa situazione si è inserita la scoperta che il cancro della cervice è causato dal Papillomavirus (HPV), o meglio da un gruppo di HPV definiti oncogeni. Questo ha portato nell’arco di pochi anni a delineare nuove strategie di prevenzione per questo tumore: abbiamo assistito all’introduzione in Italia della vaccinazione HPV e abbiamo avuto i risultati di grandi studi randomizzati (fra gli altri lo studio NTCC condotto in Italia) che hanno valutato l’efficacia della ricerca degli HPV oncogeni (test HPV-hr) come test primario di screening in sostituzione del Pap test. Queste nuove conoscenze per essere trasferite in un ambito di Sanità Pubblica devono essere necessariamente accompagnate, o meglio precedute, da valutazioni sull’opportunità di introdurre un cambiamento nel modello attuale di screening in termini di costo-efficacia e di impatto organizzativo.
Test HPV-hr e Pap test, in che cosa consistono e quali sono le differenze?
Per la donna non c’è alcuna differenza, in quanto entrambi i test vengono effettuati prelevando un campione di cellule del collo dell’utero con uno spazzolino, cambia però il tipo di analisi che viene effettuata. Nel Pap test, un citologo osserva al microscopio le cellule cervicali della paziente per individuare se ci sono anomalie cellulari che suggeriscano la presenza di una lesione pre-invasiva. Il test HPV ad alto rischio (HPV-hr) invece, si basa su una tecnologia molecolare in grado di individuare il DNA dei Papillomavirus oncogeni, cioè individuare le donne che sono a maggior rischio di sviluppare un tumore; le donne che non hanno il virus (HPV negative) non sono a rischio di sviluppo di malattia e potranno essere richiamate dal programma di screening per un nuovo test dopo 5 anni. Invece le donne con HPV-hr positivo non avranno nella maggior parte dei casi la malattia, ma la presenza di infezione rappresenta un fattore di rischio e pertanto verranno seguite con il Pap-test che evidenzierà se il virus ha determinato alterazioni sulle cellule. Il test HPV-hr permette quindi di selezionare le donne che necessitano di un Paptest e nel caso di alterazioni sulle cellule verrà effettuato un esame colposcopico. È però importante che le donne sappiano che la presenza di infezione da HPV ad alto rischio può essere transitoria, cioè può guarire spontaneamente e quindi non saranno più a rischio.
Nel libro affrontate in un capitolo i risvolti economici legati all’introduzione del Test HPV-hr nei programmi di screening organizzato, quali sono le considerazioni che espone?
L’analisi di costo efficacia riportata nel libro si basa sulla stima dei costi delle due strategie di screening, Pap test e test HPVhr, in un’ipotetica coorte di donne invitate allo screening all’età di 25 anni e seguite a intervalli regolari fino a 64 anni. L’analisi ha preso in considerazione numerose variabili operative e organizzative, tra cui i costi legati all’impiego delle risorse sanitarie coinvolte nell’attività di screening (il personale che effettua i prelievi, che analizza i campioni, ma anche il personale che svolge attività di informazione alle donne) i costi delle strumentazioni necessarie e le percentuali di efficacia nella diagnosi. Inoltre il costo complessivo delle due strategie dovrebbe essere calcolato per tutti i round di screening ai quali la donna deve partecipare nella sua vita e considerando che in prospettiva l’intervallo di screening con test HPV dovrebbe allungarsi a 5-7 anni, rispetto ai 3 anni del Pap test, grazie alla maggior protezione fornita da questo test legata all’anticipazione diagnostica e alla maggiore sensibilità. Sulla base di queste variabili l’analisi ha evidenziato che l’introduzione del Test HPV come esame di primo livello rispetto al Pap test consentirebbe un risparmio di circa il 20% nei costi complessivi dello screening.
Guardiamo al futuro: che cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi 10 anni sul fronte della prevenzione del tumore del collo dell’utero?
Al momento, il quadro normativo di riferimento è rappresentato dalle raccomandazioni del Ministero della Salute, che prevedono l’utilizzo in studi controllati del test HPV ad alto rischio nello screening primario. La fase attuale, con l’attivazione e la conclusione degli studi di fattibilità, rappresenta la necessaria transizione fra il nuovo e vecchio modello di screening. Questi studi controllati richiedono la condivisione di un percorso e hanno lo scopo non solo di confermare i risultati sperimentali nella pratica, ma soprattutto di indicare le migliori condizioni di attuazione di questo nuovo modello basato sul Test HPV-hr. Ci troviamo quindi in una fase di graduale cambiamento e i prossimi anni saranno cruciali per portare a termine questo processo e rimodulare le strategie, in vista dell’ingresso nei programmi di screening delle coorti di dodicenni, oggi sottoposte ai programmi di vaccinazione. Nelle ragazze vaccinate , lo screening con HPV-hr rappresenterà anche il sistema ‘naturale’ per valutare l’efficacia della vaccinazione nel tempo.
Test HPV, qualsiasi test è adatto allo screening per la prevenzione del tumore del collo dell’utero? Quali caratteristiche deve avere?
Questo è un punto cruciale, i test HPV non sono tutti uguali. Innanzitutto occorre sapere che esistono oltre 100 tipi di HPV ma solo 12 di questi sono causa del carcinoma della cervice. Quindi in primo luogo devono essere utilizzati test che individuino solo questo gruppo e non gli altri; inoltre i test HPV-hr utilizzati per la prevenzione del carcinoma della cervice devono avere una validazione clinica secondo regole molto precise e definite, che sono state condivise dalla comunità scientifica internazionale e recepite anche in Italia dal Gisci, Gruppo Italiano per lo screening del cervico carcinoma, un’importante Associazione indipendente che si propone la promozione e qualificazione dell’attività di screening organizzato del tumore del collo dell’utero. Il test HPV-hr maggiormente utilizzato negli studi che hanno valutato l’efficacia del test HPV ad alto rischio come test di screening primario è stato sicuramente il test Hybrid Capture 2, in grado di rilevare le infezioni da HPV ad alto rischio clinicamente rilevanti, cioè quelle infezioni che hanno un maggior rischio di persistere ed evolvere in carcinoma del collo dell’utero. Questo test è stato utilizzato anche nello studio italiano NTCC, che ha valutato l’efficacia del test HPV-hr su 100.000 donne, e viene impiegato negli studi di fattibilità finanziati dal Ministero e attualmente in corso. I dati confermano che la la tecnologia HC2 è molto solida e riproducibile. Di recente, è stato quindi raccomandato che i nuovi test HPV-hr, prima di poter essere utilizzati all’interno di programmi di screening, passino attraverso un processo di validazione clinica, in cui dovranno mostrare caratteristiche di performance molto simili a quelle HC2. Questo è un sistema rigoroso dal punto di vista scientifico ma che al contempo consente di facilitare l’entrata in commercio di altri test HPV-hr applicabili allo screening e creare quindi anche competizione nei costi.