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Il gene che aiuta il metabolismo

Il gene che aiuta il metabolismo

13 novembre 2013 3028 views

Dalla ricerca di un gruppo dell’Università di Padova una possibile strategia per aiutare le cellule “affaticate” nelle malattie mitocondriali.
I mitocondri funzionano male? Un grosso aiuto può arrivare da OPA1, un gene noto per essere responsabile quando alterato di una malattia ereditaria dell’occhio, l’atrofia ottica dominante: è quanto descrive sull’importante rivista Cell* il gruppo di ricerca dell’Istituto Telethon Dulbecco guidato da Luca Scorrano, professore ordinario di Biochimica, all’Università di Padova, in collaborazione con il gruppo del professor Enriquez del CNIC di Madrid (Spagna). Chiarendo la funzione di questo gene, i ricercatori padovani ne hanno messo in evidenza la potenziale capacità di “aiutante” del metabolismo cellulare, che potrebbe essere sfruttata in chiave terapeutica nell’ambito di numerose malattie mitocondriali.

«All’interno delle cellule, i mitocondri ricoprono un ruolo fondamentale, innanzitutto perché sono responsabili della produzione dell’energia necessaria per portare avanti le attività cellulari, ma anche perché possono determinare la sopravvivenza o meno della cellula in condizioni di stress» spiega Scorrano, tra i ricercatori di riferimento a livello mondiale per lo studio di questi importanti organelli. «Grazie a Telethon studiamo da oltre dieci anni quelle malattie ereditarie caratterizzate da un malfunzionamento dei mitocondri, come appunto l’atrofia ottica dominante: capirne i meccanismi è essenziale innanzitutto per sviluppare una terapia mirata, ma anche per chiarire come funzionano le nostre cellule e avere così un impatto ancora più ampio sulla ricerca biomedica».

Il gene OPA1, difettoso nei pazienti affetti da atrofia ottica dominante, contiene normalmente le informazioni per una proteina che il gruppo di Scorrano ha progressivamente caratterizzato negli anni e che regola di fatto la forma di questi organelli. Nei pazienti la sua mancanza si traduce nella morte progressiva di un tipo di neuroni, le cellule ganglionari della retina, responsabili della trasmissione delle immagini dall’occhio alla porzione di cervello deputata alla loro elaborazione. Questa perdita di cellule nervose, e quindi della capacità visiva, è lenta ma progressiva: la malattia si manifesta in genere in età prescolare e può avere diversi livelli di gravità, anche all’interno della stessa famiglia.

«Quello che abbiamo dimostrato in questo lavoro» continua Scorrano «è che OPA1 ha il compito di regolare l’efficienza della respirazione influenzando come i componenti della cosiddetta catena respiratoria, cioè quel complesso di proteine che trasforma i nutrienti in energia spendibile per le attività cellulari, si uniscono a livello della membrana interna dei mitocondri. Questa membrana è come una linea frastagliata, fluida, che può cambiare continuamente a seconda degli stimoli, ma in cui ogni ripiegamento non è casuale ma determinato proprio dall’attività di OPA1. Aumentando l’attività di questa proteina si può migliorare l’efficienza della catena respiratoria nel produrre energia e promuovere la crescita cellulare».

«Questo studio chiarisce ulteriormente che relazione ci sia tra la forma e la funzione delle strutture cellulari. In particolare, la struttura delle involuzioni della membrana mitocondriale (le cosiddette criste) è peculiare e mostra una sorprendente variabilità tra un tessuto e l’altro e in base a influenze esterne come l’attività fisica, l’alimentazione, le malattie» spiega José Antonio Enriquez, del Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares (CNIC) di Madrid e coautore dello studio. «Tuttavia per molto tempo il legame tra forma e attività dei mitocondri è rimasto oscuro: questo lavoro dimostra che il cambiamento della struttura delle criste ha un impatto diretto sulla capacità della catena respiratoria mitocondriale».

Conclude Scorrano: «in prospettiva si può pensare di sfruttare questa capacità per intervenire nell’ambito di varie malattie mitocondriali, migliorando il metabolismo indipendentemente dal difetto genetico responsabile. Per malattie rare ed eterogenee come queste è essenziale infatti trovare approcci terapeutici generalizzati, applicabili a più malattie: ci stiamo lavorando, ma è ancora presto per parlare di possibile cura».

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