La Psichiatria del futuro fotografa la malattia mentale e con 10 anni di anticipo ne previene l’evoluzione
di Alessia Addari
Entrare dentro il cervello umano: scrutare da vicino i neuroni “sani” e quelli “atrofizzati”, essere in grado di prevedere lo sviluppo futuro dei disturbi psichiatrici. Oggi mettere a nudo il cervello è possibile. Le nuove tecniche psichiatriche permettono di tracciare una cartina dettagliata della nostra testa – mappa cerebrale – e di prevedere fino a 10 anni prima l’evolversi della malattia mentale. Con un significativo “guadagno” di tempo nella diagnosi e nella prognosi di quei disturbi psichiatrici gravi, come schizofrenia, disturbo bipolare e depressione maggiore, che colpiscono oltre 6 milioni di italiani, hanno un costo equivalente a circa il 3-4% del Pil che riducono in media di 8-25 anni l’aspettativa di vita rispetto alla popolazione generale. Gli psichiatri sono così in grado di leggere il futuro dei neuroni senza interpellare una magica sfera di cristallo, ma attraverso, ad esempio, una sofisticata Pet cerebrale. A discuterne gli esperti di tutto il mondo riuniti lo scorso Maggio a Milano in occasione del Congresso Internazionale Innopsy 2011 – Innovazione in Psichiatria, a lungo soffermati su tecniche decisive per la psichiatria di un futuro che sembra essere davvero molto prossimo. Neuroimaging ed epigenetica sono le principali realtà su cui scommettono gli esperti e su cui sono riposte le speranze di milioni di pazienti in tutto il mondo. Nel disturbo psichiatrico il neurone non muore (come avviene, invece, nell’Alzheimer) ma diventa atrofico: resta cioè “piccolo” e non sviluppa le connessioni necessarie necessarie per le funzioni superiori. Le tecniche di neuroimaging permettono di fotografare con estrema precisione il cervello e di “colorare” in maniera differente le aree cerebrali anomale: quando la “spia” segnala neuroni atrofici nel lobo temporale, lo psichiatra sa di trovarsi probabilmente davanti a uno schizofrenico soggetto a voci e allucinazioni, mentre le anomalie del lobo frontale rivelano disorganizzazione temporale e incapacità di progettualità. L’atrofia dell’ippocampo è invece caratteristica di una depressione – bipolare o maggiore – caratterizzata da un rallentamento psico-motorio con gravi difficoltà di concentrazione. Il neuroimaging cerebrale è in grado non solo di fotografare il cervello, ma anche di prevedere le aree che negli anni successivi diventeranno atrofiche, permettendo così di tarare la terapia. Molto importante, secondo gli esperti, anche il cosiddetto modello epigenetico perché permette di lavorare sulla predisposizione alla neuro-degenerazione degli individui. Ogni persona è infatti contraddistinta da un proprio assetto di geni che può predisporre più o meno alla malattia mentale. I geni sono però regolati nella loro espressione da alcune proteine specifiche che in epoca perinatale – ad esempio a causa di un’infezione virale nella madre o di complicanze al parto – possono far sì che la malattia diventi manifesta nell’adolescenza. In pratica le proteine impediscono l’espressione genica e dunque, come conseguenza, il bambino nei primi anni di vita non svilupperà in maniera corretta determinate aree cerebrali. Alterazioni epigenetiche si traducono in alterazioni immunologiche ed endocrine, che si traducono in alterazioni cerebrali. è proprio di questa strategia terapeutica d’avanguardia che abbiamo parlato con il Professor Carlo Altamura, chairman del congresso e Direttore della Clinica Psichiatrica dell’Università degli Studi di Milano.
Professor Altamura, dove sta andando la psichiatria del XXI secolo?
Il volto della clinica psichiatrica è cambiato radicalmente rispetto a quando, solo qualche decennio fa, si cercava di capire le cause della malattia mentale. Oggi sappiamo che le malattie mentali si possono classificare al pari di altri disturbi, che sono curabili e che si tratta di patologie che possono essere diagnosticate in modo specifico e accurato con moderni criteri diagnostici. Inoltre la biologia molecolare ha chiarito come specifiche disfunzioni di meccanismi neurotrasmettitoriali e specificità genetiche/epigenetiche siano alla base delle malattie mentali. In più oggi sappiamo che l’ambiente gioca un ruolo essenziale nell’interagire con questa predisposizione genetica.
Si tratta di una svolta epocale? Credo proprio di sì per i progressi nell’ambito della comprensione delle malattie mentali e nelle possibilità di cura delle stesse.
Qual è dunque, nel futuro prossimo, la strada che la psichiatria dovrà intraprendere?
Ritengo che per i disturbi mentali più gravi oggi la giusta attenzione data alle dimensioni sociali e psicologiche dovrebbe essere bilanciata dallo studio diagnostico e neurocognitivo accurato che comprende la clinica, le alterazioni psicobiologiche e in particolare quelle neuro morfologiche responsabili del disfunzionamento di determinate aree cerebrali con implicazioni per la prognosi e per l’impostazione di un corretto trattamento psicofarmacologico e psicologico-riabilitativo.
Bisogna puntare su neuroimaging cerebrale e modello epigenetico?
Sì, dobbiamo puntare sull’uso tempestivo delle moderne tecniche, come ad esempio il neuroimaging, che permettono di prevedere lo sviluppo di un disturbo psichiatrico, inquadrando meglio la malattia e ottimizzando il trattamento, arrivando a guadagnare anche 10 anni di tempo nel processo neurodegenerativo, che comporta l’atrofia della sostanza grigia in alcune aree dell’encefalo. Ciò è particolarmente significativo se si considera che i disordini mentali affliggono oltre 450 milioni di persone nel mondo e che circa la metà dei casi si verifica prima dei 14 anni. Qui a Milano, ad esempio, la mia èquipe è stata tra le prime al mondo ad applicare la Pet cerebrale per migliorare la prognosi di schizofrenia e di altri gravi disturbi psichiatrici.
E l’epigenetica?
In una malattia mentale vi sono fattori genetici ed epigenetici che si mescolano in varia misura. Una certa vulnerabilità o predisposizione per attualizzarsi ha bisogno di fattori esterni scatenanti, eventi di vita avversi che precipitano in malattia un minus potenziale che sarebbe potuto rimanere latente per tutta la vita del soggetto. Un caso importante riguarda, ad esempio, i traumi che un bambino può subire in epoca perinatale a causa di un’infezione virale nella madre o di complicanze al parto: determinate proteine possono impedire l’espressione genica e ciò può far sì che la malattia diventi manifesta nell’adolescenza. Per fare un esempio, è come una carnagione chiara che è più soggetta a scottature e che, se non si espone per periodi prolungati al sole, presenta un rischio di scottature uguale a quello di chi ha la pelle più scura: il paziente deve essere attentamente valutato sia in funzione della predisposizione o vulnerabilità genetica, sia di fattori scatenanti sfavorevoli di tipo ambientale.
Cosa significa un evento come Innopsy 2011 per la psichiatria italiana?
Dobbiamo essere orgogliosi di ospitare nel nostro Paese un congresso internazionale così importante, che vede riuniti in Italia i maggiori esperti mondiali come, tra gli altri, i professori Herbert Meltzer e Lakshmi Yatham. L’INNOPSY deve essere vissuto come un’opportunità di confronto, con la voglia di mettere in gioco la propria professionalità e mettendo sul tavolo la propria esperienza: la psichiatria del futuro è già oggi, perché i 450 milioni di persone che nel mondo convivono con un disordine mentale non possono aspettare.
Quanto un disturbo mentale impatta sulla vita di una persona?
I disturbi psichiatrici sono tra le malattie più prevalenti nella società contemporanea, ma la patologia mentale va da una polarità meno grave, che consente al paziente di convivere con gli altri, anche se in modo sofferto, a varianti estremamente gravi. In questi casi la persona finisce per essere tagliata fuori dal rapporto con il mondo e la realtà circostante. I sintomi di tipo allucinatorio o delirante, infatti, rendono impossibile convivere con gli altri e determinano un progressivo isolamento e una sorta di autosegregazione della persona. Anche per questi motivi i disturbi psichiatrici maggiori hanno un costo notevole per il Sistema Sanitario Nazionale sia in termini di costi diretti, sia per le giornate di lavoro perse dai pazienti.